La causa dura troppo tempo? Lo Stato condannato a pagare

La causa dura troppo tempo? Lo Stato condannato a pagare

Avv. Nicola Todeschini Risarcimento danni

Come è noto la legge 24.03.01 n. 89, meglio nota come legge Pinto, traduce i principi contenuti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo circa le conseguenze, per lo Stato, nell’ipotesi in cui non vi sia il rispetto del termine ragionevole di durata del processo.

Non solo le persone fisiche ma anche le società che vengano coinvolte, sia che al termine risultino vittoriose o soccombenti, in una causa che duri oltre il termine ragionevole possono chiedere alla Corte d’Appello competente che lo Stato italiano sia condannato al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.

In realtà si tratta di un esborso di carattere indennitario, più che risarcitorio, che si basa sulle normali conseguenze che l’irragionevole durata del processo provochino in chi ne rimane coinvolto senza, si badi bene, avere un ruolo determinante nelle lungaggini processuali.

La determinazione della ragionevole durata del processo non ha carattere assoluto ma va valutata caso per caso anche se, per stessa ammissione della Corte di Cassazione, i parametri cronologici elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo rappresentano un’importante guida interpretativa.

Secondo i giudici italiani è ragionevole che il processo di I grado duri tra i tre ed i quattro anni, sempre salve diverse valutazioni con riferimento al caso concreto, mentre il II grado dovrebbe durare uno o due anni.

Normalmente la corte europea ha dichiarato non praticabili le richieste di risarcimento per processi che abbiano avuto complessivamente una durata inferiore ai tre anni.

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È interessante inoltre considerare, in conformità al ragionamento della suprema corte contenuto in una recente sentenza, che non solo le persone fisiche ma anche le società, nel caso di specie si trattava di una società in nome collettivo in liquidazione, hanno diritto a chiedere il risarcimento del danno non patrimoniale in quanto portatrici anch’esse di diritti che attengono alla sfera della personalità che riguardano il diritto all’esistenza, all’identità, al nome, all’immagine.

Chiarisce inoltre, con questa pronuncia, la Corte di Cassazione, che deve pur ritenersi presunto il danno una volta che sia accertata e determinata l’entità della violazione dei termini di durata sempre che, ben inteso, non vi sia l’esplicito concorso di particolari circostanze che possano escludere che il danno sia stato effettivamente subito.

In altri termini il danno morale soggettivo per l’irragionevole durata del processo è presunto e, per superare tale presunzione, dev’essere lo Stato a dimostrare l’esistenza di circostanze dalle quali si possa chiaramente desumere che l’irragionevole protrarsi del termine di definizione del giudizio non abbia causato il danno lamentato.

Al di là del vantaggio economico che l’erogazione di tale indennità porta a tutti i cittadini ed alle società che siano state coinvolte in processi irragionevolmente lunghi, l’augurio è che le numerose sentenze che condannano lo Stato al risarcimento del danno lo portino ad investire denaro nel sistema giustizia affinché nel futuro la durata dei processi sia, per l’appunto, “ragionevole” e consenta al cittadino di rivolgersi, innanzi ad ogni corte italiana, con fiducia circa la durata del processo ed impedisca quindi, ai “furbi” di poter godere, quantomeno in alcune realtà piuttosto distanti dalla nostra, del favore che la lunghezza spropositata di un processo concede a chi sia in torto.


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