Coronavirus: le nuove responsabilità  di case di cura, RSA, cliniche ed ospedali

Coronavirus: le nuove responsabilità di case di cura, RSA, cliniche ed ospedali

Avv. Nicola Todeschini Malasanità, Riparazione dei torti

Il rischio che scoppiasse, con effetti anche superiori a quelli temuti, lo scandalo delle case di riposo, case di cura, RSA, cliniche ed ospedali, con riferimento all’attuale emergenza Coronavirus o per meglio dire Covid-19, l’avevo già percepito anche se i primi risultati delle inchieste in corso e il susseguirsi di segnalazioni e richieste d’intervento professionale degli ultimi giorni, da parte di famigliari di persone anziane ospitate in diverse case di cura, offrono un quadro certamente non rassicurante. Temibile, poi, la coincidenza, forse solo temporale direte voi, tra le istanze di smodata depenalizzazione -e tra esse l’incomprensibile emendamento, poi ritirato (del quale ho parlato qui...)- e lo scoppio del caso che riempie le cronache della stampa in questi giorni: basti pensare alla Baggina (Pio Albergo Trivulzio) e, più vicino a noi, all’inchiesta della Procura su Casa Fenzi ed altre strutture per anziani in provincia di Treviso, ma il fenomeno è evidentemente nazionale.

Chi è più malizioso dello scrivente potrà immaginare che i firmatari dell’emendamento fossero ben consapevoli di quanto sarebbe emerso, di lì a poco, tanto da premunirsi, con la scusa di venire incontro ai sanitari (ma non ne hanno bisogno coloro che agiscono con diligenza!), di rendere impermeabile l’ente alle richieste, ben giustificate, avanzate pure da personale medico e paramedico!

Era chiaro che quella proposta, che si voleva far passare sotto silenzio sfruttando la tensione del momento e il favore nei confronti dei sanitari, peraltro condivisibile viste le condizioni di lavoro alle quali sono stati sottoposti, fosse in realtà finalizzata a proteggere soprattutto Stato e Regioni dalle richieste di risarcimento che gli enti avevano ottime ragioni per temere di li a poco.

Scongiurata l’approvazione di quell’emendamento ma non la sottocultura e, forse, la malizia politica dalla quale proviene e che v’è da giurare colpirà ancora, insieme alla preoccupante tendenza ad alterare anche la gerarchia delle fonti normative di un Paese sempre più compresso dalla presunta validità di atti amministrativi (al punto che vi sono giornali che discorrono di “leggi presidenziali”) ora vale la pena riflettere sulle ipotesi di responsabilità e sull’incomprensibile tesi difensiva che sembra emergere da alcune prese di posizione.

Siamo di fronte ad una epocale operazione ispirata al principio dello “scarica barile”, sia consentita la licenza, secondo la quale ciascuno vorrebbe declinare la propria responsabilità in forza del riconoscimento della stessa in capo ad altri, gerarchicamente sovraordinati, sino a raggiungere i vertici degli enti privati o pubblici imprudenti; questi ultimi a loro volta tentano di apparire irresponsabili perché “sorpresi”, al pari di altri stati, dall’emergenza, come se il mal comune significasse mezzo gaudio anche in materia di responsabilità civile.

Tra tutte quella che fa più specie è condensata nella seguente, ma patetica, giustificazione: “avevamo chiesto maggiori presidi ma non ce li hanno messi a disposizione”. Infantile perché per un verso è noto che l’O.M.S. aveva allertato anche l’Italia, e che esisteva un piano, non attuato, per fronteggiare le pandemie; per l’altro, perché tentando di screditare un’ipotesi di responsabilità la confessa invece candidamente, atteso che nel momento in cui si da atto della consapevolezza di dover offrire una maggior protezione ma non la si attua, per asserita responsabilità di chi deve reperire e fornire il presidio, si ammette, di fatto, di essere stati nelle condizioni di avere consapevolezza che la prestazione non potesse essere diligente, ma di non aver informato il creditore della stessa (il degente) del rischio al quale era sottoposto, violando perciò apertamente il principio di diligenza ex art. 1176, II comma, codice civile.

E’ pacifico, per giurisprudenza che non si è distinta certo solo di recedente, che allorché nell’esecuzione della prestazione il debitore di quest’ultima si trovi nelle condizioni di accertare di non avere a disposizione gli strumenti necessari per adempiere in modo diligente debba, per andare esente da responsabilità, comunicare al creditore della prestazione tale sua condizione di inefficienza per metterlo nelle condizioni di rivolgersi ad altri e di avere contezza quindi del pericolo. I casi che la giurisprudenza ha esaminato (visibili anche nell’opera di Utet che ho diretto) sono molteplici e vanno dall’assenza di un reparto per la rianimazione al conosciuto malfunzionamento dell’ecografo.

Mi si obietterà che nessuno poteva immaginare esistesse un tale rischio di pandemia, ma si tratta di un’obiezione scadente, perché il Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale (visibile in allegato, estratto dal sito del governo) è del 2002 ed è stato aggiornato, giuste le sollecitazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità del 2005, così che l’imprevedibilità del fenomeno può dirsi esclusa.

Un video recentemente trasmesso da Milena Gabanelli sintetizza il quadro delle responsabilità di Stato e Regioni:

Emerge quindi chiaramente la responsabilità di chi, potendo e dovendo rendersi conto del rischio di contagio, non ha posto in essere tutte le precauzioni necessarie ad evitarlo omettendo, contestualmente, di informare del rischio chi lo stava subendo, sanitari inclusi. La declinazione delle diverse responsabilità emerge se ci si limiti a pensare all’imprenditore che gestisce la casa di cura, ove privata, ovvero all’ente pubblico, ai singoli operatori che non sollecitano formalmente la struttura a reperire il materiale e adottare le precauzioni necessarie nonché ad informare il degente dell’aumentato rischio, senza che l’accertata responsabilità di chi è più vicino al vertice dirigenziale possa annullare quella di chi, gradatamente, si trovi ad operare in una condizione gerarchica subordinata.

Esiste invero un dovere di sollecitazione, che va praticato -in un Paese di diritto e dotato di cittadini che sappiano esprimere senso civico- in misura decisamente più vigorosa, anche a prezzo della propria tranquillità o posizione lavorativa, tanto più allorché la mancata segnalazione sia nelle condizioni di impedire consapevolezza in ordine ad un rischio che attiene alla salute e quindi ad un bene primario.

Quando, anche in questi giorni, mi viene chiesto quindi un parere sul perimetro delle responsabilità che appaiano all’orizzonte sono solito rimarcare l’efficacia che il dovere di informare può esprimere cosicché possa negarsi ospitalità alcuna a tesi difensive che mirino a chiedere l’esenzione di responsabilità per chi abbia avuto, o avrebbe dovuto avere, consapevolezza del rischio e che non ha posto in essere formali sollecitazioni , e non abbia comunque provveduto ad informare il creditore della prestazione del maggior rischio diffuso.

Non va dimenticato che quand’anche il nostro Paese si fosse trovato in una condizione di effettiva pandemia, diffusa in misura così capillare da riguardare l’integrale tessuto nazionale, condizione che grazie al cielo non si è verificata, le persone ospitate nelle strutture sia pubbliche che private avevano comunque il diritto di essere tempestivamente protette ed informate ed anche, se del caso, sollecitate a trovare ricovero altrove e non a rimanere in una deprecabile condizione di altissimo rischio di contagio senza averne nemmeno la consapevolezza.

Accanto quindi alle responsabilità che interessano dirigenti e sanitari, e che vedono quali vittime i degenti, si delineano evidenti responsabilità del datore di lavoro, sia esso soggetto pubblico che privato, nei confronti di dipendenti e collaboratori che sono stati costretti, quand’anche solleciti nel richiamare l’attenzione alla necessità di un approvvigionamento di presidi, a continuare a prestare la propria attività lavorativa in un quadro di accresciuto ed ingiustificabile rischio essendo tale quello che non viene circoscritto con l’adozione di tutte le cautele necessarie. Ed è pacifico che nascondersi dietro alla presunta o reale impossibilità di ottenere dal fornitore principale il prodotto protettivo, non consente certo di abbandonare il lavoratore ad un rischio al quale può sottrarsi solo violando il suo obbligo e omettendo di eseguire la propria prestazione.


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